domenica 14 novembre 2010

una storiaccia della via francigena

E così siamo arrivate a Galleno.
Alle sette e mezza di mattina c’era già afa, eravamo partite da Altopascio, dopo un paio di caffè che avevano inaugurato - bottiglia di champagne su una nave per il Far West – una lunga lunga strada nazionale rettilinea, dapprima chiamata Via Roma, e poi, via via nella campagna, senza più nome. In mezzo a un purgatorio in realtà alquanto bello di strada pura, a un certo punto era apparso un bazar. Francesca dovette a questo miraggio la salvezza della vita sua, perché trovò da prendersi un cappellino, a sostituire quello perduto, col sole che fiocinava all’alba delle otto e mezza. La signora del bazar poi aveva voluto a tutti i costi portarci nel retro della bottega, dove ci aveva fatto un caffè con la moka.
E da lì eravamo ripartite, per arrivare infine sul fare del mezzogiorno a Galleno, frazione di Fucecchio. Un paese da niente, ma anch’esso capace di buttare sangue e vuoto, come ogni costato mortale, con in più un tocco di follia geografica che lo scinde in modo invisibile: la stranezza infatti è che questa manciata di case è divisa tra le quattro province di Firenze, Pisa, Lucca e Pistoia. Attraversi una strada, giri un angolo e sei già di qua o di là, come segnalano le lapidi viarie. Un’astrazione di confini, probabilmente righe tirate un bel giorno a caso su una carta. L’hanno fatto con gli Stati africani, con quelli americani, con il disastro del Medio Oriente: e allora perché no, il gioco può valere anche in questo anonimo paesino sprofondato proprio qui. Anzi, fa risaltare l’idea del “qui” come l’unica possibile, è un suggerimento filosofico. Siamo in nessun posto e nel contempo al centro di qualcosa. Forse anche perché è un momento in cui o bere o liquefarsi, tertium non datur.
In uno slargo c’è il bar Circolo dello Sport. Due tavolini traballanti fuori, qualche sedia di quelle che a modo loro negli anni Settanta erano comode e lo sono rimaste, di plastica dura stampinata a intreccio, con schienale e seduta un tutt’uno a tracciare una curva, un colore destinato a sbiadire col sole e diventare quasi bianco; in questo caso azzurrine, ma la memoria mi dice che esistevano anche rosse, verdi e gialle. Ci lasciamo cadere come sacchi. Acqua, acqua, e solo poi, dopo il primo dissetamento di sopravvivenza, una bibita. Gli zaini a terra, i lunghi bastoni appoggiati al muro. Nessuno potrebbe scambiarci per nient’altro che pellegrine. Qualche parola fra me e la mia amica, il tempo di guardare il bicchiere pieno di fresche bollicine e di rialzare lo sguardo, ed ecco farsi incontro a noi quasi correndo, trepidante di eccitazione, una figura sbucata da non so dove. E’una ragazzina festosa, una bambina sviluppata ma infantile. C’è qualcosa che non va, ha gli occhi troppo lunghi, troppo spalancati, di un azzurro d’acqua da vittima. Vederci le ha dato una felicità piena d’ansia. Arriva quasi inciampando, allarga le mani e ci domanda trillando: “Andate dal papa?”.
I riflessi miei e di Francesca sono lenti, vorremmo tentare di rispondere, esce solo qualche parola che non dice niente. Il cielo è azzurro, la ragazza freme, la vita sprizza ombra appena può, io ho già intuito che qui si berrà spumante nero. A lenti passi incede verso di noi, dietro la ragazza, un uomo terribile. Ci ha raggiunto, e ora la sua sagoma contadina, sdentata, il suo alito terribilmente vinoso coprono il sole che abbacinava riflesso dal tavolino.
“Annaluisa.”
“Babbo, babbo, sono pellegrine, vanno dal papa!”
“Oh, Annaluisa...”
Com’è pesante l’odore di questo uomo che prende due sedie, una per sé e una per la figlia ritardata, si accomoda e incomincia a esibirsi in un gioco che denoterebbe maestria drammaturgica se fatto in un teatro, ma qui è un atroce strumento di dominio totale sul corpo sviluppato e sulla mente povera di Annaluisa. Sorride in un trionfo di gengive rovinate, dichiara di chiamarsi Malladori Giacomo e ispirato si mette a raccontare di Medjugorie. C’è stato l’anno scorso, sì, con Annaluisa. Ah, che splendore, che esperienza, che santità. Il Signore che è onnipotente, la Madonna, la Madonna di Medjugorie, e lui proprio lì, proprio lui Malladori Giacomo, la Madonna che si vede nel cielo ed Annaluisa sua figlia che se la porta dappertutto, “Annaluisa viene con me dappertutto, è come un cane!”. La risata risuona oscena, fetida.
Ma Annaluisa è su tutta un’altra strada. Eccitata, ci chiede a ripetizione di Milano. “Dev’essere bellissimo! Io non ci sono mai stata”. Il padre la zittisce. “Annaluisa, lascia stare, ma ti ricordi le cose che abbiamo visto sulla collina di Medjugorie…”. Il calore del suo racconto è intriso di affettività mimata, sembra che gli venga da piangere, recita con aria sognante. “Oh, quanti eravamo su quella collina… Oh, era meraviglioso… Tutti a guardare il sole… Eh, Annaluisa? Mia figlia!”.
La ragazza sfugge ovunque con gli occhi, anche a lei sembra che venga da piangere ma da un deposito elettrico della gioia, come un riflesso dolente di eccitazione nervosa. “Una volta una mia compagna è andata a Milano… Come siete fortunate ad abitare lì! Ma voi li vedete spesso, li vedete per la strada i Gemelli Diversi e gli Articolo 31? A me piacciono tantissimo. Chissà quante volte li incontrate!”
“Mia figlia, la mia bambina… E’ tanto brava, sapete? Già tredici anni! Ma quando è discola lo sa che col suo babbo non si scherza”. L’uomo tende la mano a taglio, plateale, come a dire “allora le busca”. Una goccia di saliva rabbiosa schizza verso di me dalle sue labbra, seguendo il gesto di quella dura mano. Annaluisa sogna. “Vorrei tanto venire a Milano. Forse voi lo sapete dove abitano gli Articolo 31?”.
Malladori Giacomo ha ripreso a sorridere. “Perché la Madonna è amore, si va a Medjugorie per nutrirsi del suo amore infinito. E’ un amore dolcissimo che apre il cuore! Si va per i miracoli dell’amore, per il cuore di Maria, ci si commuove per la sua dolcezza. Io sono andato perché mi faceva male una gamba, non potevo camminare. Vero Annaluisa, figlia mia? Voi siete pellegrine di Roma ma non potrete mai capire com’è grande l’amore di Maria, ma io, io lo so. Mi faceva molto male la gamba, io ho la gamba destra sciancata. Sono andato per guarire, ma quando sono stato alla collina mi si è perso il cuore, perché mi doleva tanto che non riuscivo a salire. Ma ho voluto montare lo stesso, il male che mi faceva nessuno può immaginarlo”.
Annaluisa tenta di inserirsi: “Io mi ricordo che una volta sono andata a Fucecchio con la scuola, ci hanno portato in piscina… Ho fatto la pipì nell’acqua, mi ricordo che strana tutta la scia gialla”.
“Ma te tu stai zitta? Ma te tu non hai rispetto per tuo padre che ti mantiene, per la Madonna che ci ama tutti? Non si può dire come mi faceva male la gamba. Eppure sono salito lo stesso al monte, per devozione infinita, per fede, mi capite? E quando siamo arrivati, io e Annaluisa, abbiamo avuto visioni meravigliose, e questo ci ha compensato tutto il dolore.”
“Ma poi la gamba è guarita?” chiedo io.
“No, non è guarita, dopo mi faceva più male ancora. Non è mai più guarita. Ma se questa era la volontà di Maria è così che doveva succedere, è anche questo un miracolo dell’amore.”
Annaluisa ora fa cadere un bicchiere. Io temo una sberla. Invece no, il viso rugoso dell’uomo guarda lontano, si illumina per un’idea. “Annaluisa, vai in macchina, prendi il rosario appeso davanti, ce n’è due, prendine uno, lo voglio regalare alle pellegrine”.
La ragazza va, torna con il rosario, il padre bacia e insaliva quella collanina di plastica con sotto la croce e poco più in alto l’immaginetta di Medjugorie. Me lo dà in mano, povero simbolo innocuo che manterrà odore di vino e violenza fino a che, il giorno stesso, non lo abbandoneremo appeso a uno sterpeto.

CHE COSA VIDE A MEDJUGORIE MALLADORI GIACOMO
Una capannella accanto al sole come quella del presepio, con una donna, un uomo e un bambino.
Un enorme arcobaleno all’incontrario.
Un cavallo di mare con su tre persone.

CHE COSA VIDE A MEDJUGORIE MALLADORI ANNALUISA
Tante stelline che formavano un triangolo.

4 commenti:

  1. Bello Anna. Spero che sia il primo di una serie. Così come le foto di Donatella, rende con intensità la forza di quell'esperienza.
    C'è un passaggio che non mi è chiaro: Bellandi Renzo è un alter ego di Malladori?
    Alessandro

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  2. Terribile errore! Correggo subito. Grazie Alessandro.

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  3. Bello, piaciuto molto, soprattutto la parte finale con le stelline. Bello il profilo incantato della bimba. Il Malladori invece, l'ho visto un pò troppo carico. Sarà perchè conosco la zona. E da lì sono venuti spesso dei miei allievi. Il padule di Fucecchio è a due passi, mentalità contadina e lagunare, molto particolare.
    Ciao Anna, saluti e baci.
    Francesco Tontoli.

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  4. Ciao Francesco! Carico sì, e per questo mi aveva impressionato. Pesante, torbido. Sembra un racconto e invece è un documentario.

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